
Cinque parole a vanvera su Andrea
Onesto, entusiasta, edonista, comunicativo… e vintage!
Una dote/caratteristica che non può mancare ad una persona inclusiva.
Cosa ami di più della tua vita?
Sono circondato da persone a cui voglio bene che mi vogliono bene
Ah già… the o caffè?
Caffellatte.
Hai esplorato vari orientamenti sessuali prima di arrivare al tuo orientamento attuale?
Fin da ragazzino, quando gli aspetti romantici e sessuali erano solamente teorici, ho percepito di essere “diverso” dalla maggioranza, ho capito che ero attratto “anche” dagli uomini e ho immaginato di essere bisessuale, intorno ai 16 anni mi sono messo a fuoco e ho compreso di essere gay. Non ho mai avuto problemi di auto-accettazione, non ho mai pensato di essere malato o in qualche modo sbagliato ed ho immediatamente condiviso questo mio modo di essere con quelli che erano i miei amici più cari, e anche se spesso mi sono scontrato con l’imbarazzo e il senso di inadeguatezza dei miei interlocutori non ho mai ricevuto brutte reazioni e non sono stato emarginato. nel corso dei decenni le occasioni non sono mancate ma non sono mai andato oltre a qualche bacio con una ragazza, ho percepito chiaramente che non era la mia strada.
Quando hai iniziato a occuparti di attivismo la bandiera arcobaleno ancora non esisteva, oggi fa quasi strano pensarlo. Cosa ne pensi di questa sempre più ampia differenziazione della comunità LGBTQIA+ in tantissime bandiere diverse, per tentare di rispecchiare tutte le varie identità di genere, orientamenti ed espressioni di genere?
Capisco perfettamente l’esigenza di essere rappresentato e compreso nel proprio specifico, l’affettività e la sessualità si possono declinare in tanti modi diversi, quindi ben vengano le bandiere ma soprattutto i contributi di tutte e di tutti. In questo senso sono molto affezionato alla classica bandiera arcobaleno che raccoglie e valorizza tutte le sfumature. Quando ho iniziato a militare nel movimento l’unico simbolo ufficiale era il triangolo rosa, che è un fondamentale elemento di memoria storica, ma credo che l’arcobaleno rappresenti meglio la moltitudine di anime che compongono il movimento LGBTQIA+.
Sei un fondatore del circolo Arci Gay di Empoli e sei apparso numerose volte sui giornali e in tv. Questo coming out pubblico ha richiesto senz’altro una notevole dose di coraggio. Cosa ti ha spinto, così giovane, a buttarti senza paura nell’attivismo?
Nonostante i miei 52 anni non saprei dirti ancora se sono stato spinto più dal coraggio o dall’incoscienza. era una mia necessità, un bisogno feroce di uscire allo scoperto, di dire no ad un modello di vita basato sul “si fa ma non si dice”. Non volevo essere “accettato”, volevo che si riconoscesse che facevo già parte della società a prescindere dai miei gusti e dal mio orientamento. Col senno di poi mi sono reso conto che in questo modo ho trascinato anche i miei familiari nel calderone che ne è conseguito, chiedendogli implicitamente di sostenere il peso di un giudizio pubblico che io ero pronto a sostenere, ma per il quale loro forse non erano ancora preparati. le battute, le offese, le prese in giro che io mi facevo scivolare addosso, a volte, li hanno feriti. Ma i miei familiari non hanno MAI smesso di sostenermi.
Esiste ancora il Consultorio Omosessuale per la Salute ad Empoli? Secondo te è ancora necessario ed utile un luogo come questo?
Il circolo ed il consultorio hanno cessato le attività mi sembra nel 1995 per una serie di motivi. Il circolo di Empoli è stato il primo a nascere in toscana e questo ha portato molte persone anche da fuori, soprattutto dalle città universitarie, veri e propri pendolari dell’attivismo lgbtqia+ che ogni settimana macinavano km per partecipare alle riunioni e alle attività. Nel corso degli anni abbiamo assistito ad una naturale migrazione contraria da parte dei soci che dopo essersi fatti le ossa a Empoli hanno fondato altri circoli a Firenze, a Pisa, a Livorno e a Siena, e va da sé che le grandi città catalizzavano più interesse e più energie,
Insomma dopo 4 anni di consultorio (con un numero verde che gestiva una media di circa 4.000 Telefonate l’anno) ci siamo ritrovati stanchi e senza un “ricambio generazionale” ed abbiamo pensato che fosse naturale passare la palla ai nuovi circoli.
Aggiungo che in quegli anni così importanti siamo tutti maturati e abbiamo sentito l’esigenza di intraprendere dei percorsi di affermazione personale. Io per esempio ho sentito l’esigenza di non rappresentare più una comunità ma solo me stesso.
Parlaci meglio delle attività svolte dal Circolo Arci di Empoli/da fondatore del Circolo Arci Gay cosa pensi dell’attivismo oggi?
Come attività interne il circolo offriva occasioni di incontro e di confronto, accoglieva e rispondeva a chi aveva dei dubbi e/o non sapeva con chi parlare della propria omosessualità. Le attività esterne andavano dalle rassegne teatrali agli incontri culturali,
ai dibattiti (in quegli anni se ne facevano tanti), alle manifestazioni per sensibilizzare la gente rispetto alle diversità. Non bisogna dimenticare che l’aids in quel periodo era un flagello senza precedenti e che le associazioni lgbtqia+ sono state le prime e le più attive nel sensibilizzare, nell’informare e nel distribuire profilattici, e tutto questo lo abbiamo fatto anche a Empoli, spesso e volentieri in collaborazione con quella che era la F.G.C.I. (Federazione Giovani Comunisti Italiani). In merito all’associazionismo di oggi posso dire che i tempi sono molto cambiati, e anche se credo ci sia ancora bisogno di circoli, di aggregazione e di confronto collettivo, mi sembra chiaro che i bisogni sono cambiati.
L’omosessualità continua ad essere un argomento delicato nonostante sia stato sdoganato dai media e ci sono ancora tante persone che hanno bisogno del contatto vis à vis per affrontare certe tematiche. Quali sono secondo te le battaglie ancora da combattere oggi? Quali battaglie “personali” porti avanti e quali sono quelle “collettive” da combattere?
La battaglia principale resta quella culturale: tutti abbiamo gli stessi diritti e la stessa dignità e la storia ci insegna che tutto evolve, compresi il concetto di genere e di famiglia.
La nostra ancora una società ossessionata dalla morale e dal sesso, ingabbiata nell’ipocrisia. Un aspetto del movimento moderno in cui non mi riconosco troppo è questa spinta verso “la normalità” e verso l’omologazione, perché pur sostenendo fortemente il matrimonio egualitario e le famiglie arcobaleno ho la sensazione che si stia lasciando indietro il sacrosanto diritto all’essere quello che si è e fare quello che si vuole, senza dover aderire ad un modello di comportamento ritenuto consono e rassicurante.
Ci viene spontaneo chiederti, dagli anni 90 a oggi secondo te quali sono i cambiamenti più significativi e cosa ancora non è cambiato?
Basta vedere la qualità di personaggi lgbtqia+ famosi per rendersi conto di come siano cambiati i tempi, così come la quantità di famiglie omogenitoriali o le adesioni al pride.
Nonostante l’argomento sia stato ampiamente sdoganato penso che ci siano ancora tanti muri da abbattere, il primo è quello degli stereotipi. Nessun eterosessuale si sente amico, fratello, complice o uguale a qualcun altro solo perché condividono la passione per l’altro sesso, eppure ancora oggi sembra che tutti i gay debbano essere amici, fratelli, complici e uguali. E poi siamo un paese in cui impera ancora il machismo tossico, il super mito del maschio latino, della virilità ostentata ad ogni costo. Credo che l’Italia sia un paese piuttosto immaturo in cui la sessualità, per quanto evocata in ogni angolo, è spesso ancora un tabù.
Il tuo esporti a livello pubblico come fi gura attiva per la comunità gay ha influenzato i tuoi coming out?
Cosa ti senti di dire a chi oggi non ha ancora avuto la possibilità di fare coming out?
La prima persona con cui mi sono aperto è stata mia cugina, una persona fantastica che mi ha subito compreso e appoggiato, la sua reazione positiva mi ha spinto a fare coming out con gli amici e con tutto il mio sociale, fino ad arrivare alla fondazione del circolo di Empoli; con l’affermazione e l’intensificarsi delle attività del circolo sono arrivate le interviste e l’eco mediatica, quindi ho deciso di fare il mio coming out in famiglia (che era l’unica parte del mio sociale ad essere ancora all’oscuro) prima di finire sui giornali.
La prima reazione dei miei genitori è stata di rifiuto e di chiusura, ma ben presto si è aperto un dialogo e sono riuscito a sostituire i loro pregiudizi con la mia realtà di persona equilibrata, serena, rispettosa e rispettata, e in breve tempo mio padre e mia madre si sono aperti e sono diventati un po’ “genitori adottivi” di tanti miei amici che avevano problemi in famiglia e/o vivevano la propria natura in clandestinità. Finendo sui giornali e in tv non sono mancate le persone che mi hanno attaccato e che mi hanno deriso, ma non me ne sono curato più di tanto. Fare coming out deve essere una necessità e una scelta personale ma non va considerato come una medaglia da appuntarsi a tutti i costi.
Prima di fare questo passo bisogna valutare quali sono gli strumenti che hanno i nostri interlocutori per comprenderci, è necessario capire se viviamo in un contesto familiare, sociale o lavorativo tossico e ostile, nel qual caso è meglio cambiare ambiente.
Fondamentalmente credo sia indispensabile essere onesti soprattutto con sè stessi, non nascondersi alla propria verità.
Secondo te è in qualche modo è più semplice, nell’era della tecnologia e dei social, riuscire ad esplorare e a indagare la propria identità di genere, il proprio orientamento sessuale o relazionale? Com’è stato per te?
Le tante domande che mi sono posto e le relative risposte che mi sono dato mi hanno fatto capire che la mia vita non era un modulo prestampato da compilare, ma un foglio bianco che potevo riempire come volevo, che potevo trovare la mia strada senza l’omologazione del matrimonio, dei figli etc. Da ragazzino vivevo un po’ il complesso del “non voglio sembrare effemminato, non voglio essere associato a certe macchiette gay”… Poi sono finito a fare teatro en travesti e a creare una personaggio “drag” che è un’estensione di me stesso e a fregarmene beatamente del genere e dei ruoli, sia reali che immaginari.
Le nuove generazioni (come sempre) hanno generalmente una visione meno rigida, oggi si dice “fluida”, c’è più spazio per sperimentare, per esprimere la propria unicità.
La tecnologia e i social sono strumenti, e come tali rappresentano un vantaggio solo se chi li adopera ha le idee abbastanza chiare e non si lascia assuefare e fuorviare.
Oggi esistono mille canali per incontrare nuovi partner, è possibile fare delle ricerche specifiche fornendo i parametri relativi ai gusti personali… ma io rimpiango un po’ un’epoca pre-internet in cui ci si imbatteva casualmente in qualcuno di interessante e si comunicava con gli sguardi, con il linguaggio del corpo. Forse questa immensa off erta tecnologia a volte diventa un po’ un surrogato di quelle che sono le vere esperienze.
Chi è Agonia Lopez?
Agonia Lopez è un mio alter ego molto esibizionista, la parodia di una drag queen, e in questi panni faccio il dj, spettacoli e teatro, e conduco un programma chiamato Profumi & Balocchi su Orme Radio, una web radio di Empoli.
Consiglia qualcosa da vedere, ascoltare o leggere per chiunque voglia approfondire l’argomento!
Oggi l’offerta in ambito letterario, televisivo e cinematografico è enorme, per me sono stati fondamentali film come ‘Amici Complici Amanti’ e tutti i libri di Pier Vittorio Tondelli, e poi Boy George, i Bronski Beat, Paolo Poli, Lindsay Kemp, ma la lista è lunga e si arricchisce ogni giorno.